giovedì 29 ottobre 2009

SCELTE


Leo cominciava a sentire freddo. Un freddo di quelli che ti penetra nei vestiti, ti entra sotto la pelle e ti arriva dritto dritto alle ossa.

Camminava in direzione Nord lungo l’Heren-gracth ed era diretto al cuore dello Jordaan, il quartiere periferico di Amsterdam. Suo cugino Niels gli aveva detto più volte –si scrivevano da oltre un anno- che a gennaio quella città era quasi invivibile per il clima rigido: del resto loro venivano da una piccola cittadina in pianura nel Sud del Paese, con estati corte e inverni miti.

Era la seconda volta che Leo andava ad Amsterdam; la prima c’era stato in occasione della gita di fine corso, quando aveva sedici anni.

Ora si trovava li, in visita a Niels che aveva avuto uno stupido incidente alla pista di pattinaggio e non poteva uscire di casa, avendo la gamba sinistra ingessata.

Leo aveva deciso che quella sarebbe stata un’occasione per tornare nella capitale e soprattutto rivedere il cugino dopo quasi due anni.

Imboccò un vicolo buio e proseguì per un po’: era sicuro che la pensioncina dove avrebbe alloggiato fosse proprio lì… magari un po’ più avanti.

Non aveva voluto restare da Niels, preferendo una topaia da 300 Guilden a notte, per un suo senso d’orgoglio che non era stato mai capito da nessuno. Ma Leo era fatto così e non sarebbe certo cambiato: forse perché a lui non avrebbe fatto piacere avere ospiti tra i piedi, o forse perché voleva mostrare di non dipendere dagli altri. Fatto sta che ogni qual volta poteva, preferiva arrangiarsi da solo. Ed in fin dei conti ognuno è libero di fare le sue scelte, no?

Aveva ormai percorso più di cento metri, quando dovette rassegnarsi al fatto che aveva sbagliato strada: della sua dannata pensione non c’era nemmeno traccia. Anzi, non c’era traccia nemmeno di caseggiati abitati: doveva essersi infilato in un vicolo di magazzini e depositi.

Era mezzanotte ed il vento continuava a segargli le gambe; si abbottonò bene il giaccone marinaro sperando di trattenervi dentro qualche grado di calore in più. Forse tornare indietro era l’unica soluzione: voltò sui tacchi ed andò a sbattere il naso contro un muro che due secondi prima non c’era.

- Fermo qua, figlio di puttana!

Alzò lo sguardo e ciò che vide non gli piacque neanche un po’: il bestione che aveva davanti era più nero di quella notte nera e più alto dell’Everest. Nella destra stringeva un coltello da cucina che gli teneva puntato all’altezza dell’addome.

Leo si meravigliò degli strani scherzi che gioca la mente umana: in una situazione così assurda l’unica cosa cui riusciva a pensare era che quel coltello era identico a quello adoperato da suo cugino Niels per tagliare la carne che avevano mangiato come seconda portata, a cena.

- Bastardo campagnolo del cazzo: adesso mi dai tutti i soldi che hai! E pure l’orologio, capito?!

La montagna che aveva di fronte lo spingeva verso il muro: voleva metterlo alle corde per spremerlo a dovere. Leo, con i suoi centosessantotto centimetri per sessantadue chili, non poteva certo opporre resistenza.

E mentre indietreggiava ripensava alla cena che suo cugino gli aveva preparato: Niels aveva sempre avuto la passione per la cucina italiana. Sosteneva che un piatto di bucatini all’amatriciana fosse meglio di un amplesso. Leo non poteva dirsi d’accordo al cento per cento, ma quando si era alzato da tavola non aveva avuto il benché minimo stimolo sessuale…

- Ehi, testa di cazzo di un contadino! Hai capito o no quello che ti ho detto?

- Ho capito, non ti scaldare: farò quello che vuoi, ma non fare cazzate.

Leo non aveva nessuna intenzione di farsi infilzare per pochi Guilden e per un fottuto Swatch Irony. Era deciso a collaborare col suo assalitore e a tornarsene alla sua pensione al più presto. Aveva bevuto troppo e non avrebbe resistito ancora a lungo a quel dannato freddo.

Non sapeva se ringraziare Niels o se mandarlo a fare in culo per le tre bottiglie di Montepulciano che aveva stappato per annaffiare pasta prima e carne poi…

Scelse la prima alternativa, se non altro perché stava tenendo testa, o quasi, a quel tipo e non si era ancora cagato addosso.

- Allora, ti decidi o no?

Disse il nero punzecchiandolo e staccando un bottone del suo giaccone.

Leo tirò fuori il portafogli, lo aprì e ne consegnò il contenuto al suo assalitore.

Mentre compiva meccanicamente questo gesto ripensava al dopocena: si era seduto nel microscopico salotto dell’appartamento che il cugino divideva con un tizio norvegese e tra un grappino, rigorosamente veneto, ed un altro si era fatto raccontare le circostanze dell’incidente.

Aveva così appreso che Niels stava facendo il bullo con una biondina che avrà avuto al massimo quindici anni ed era inciampato in un guanto, cadendo male e rompendosi la tibia.

Poi il cugino gli aveva parlato di come si manteneva nella capitale e del giro in cui era entrato: un mondo pericoloso, duro e senza gratifica di fine mese, ma in fondo aveva sempre desiderato vivere ad Amsterdam e quella era stata la sua scelta.

- Forse non ci siamo capiti, nanerottolo! Voglio il tuo orologio, e già che ci sei svuota anche le tasche!

Quel bastardo non pareva mai accontentarsi. Leo era un tipo pacifico, uno che evitava la rissa (anche e soprattutto per via della sua stazza) e che girava a largo dai guai. Ora si ritrovava in una situazione che definire di merda era un eufemismo. Cominciava a pentirsi di non avere accettato l’invito di Niels a passare la notte da lui. Per strada neanche un cane. E se quel verme non si fosse accontentato dei suoi averi? Sentì in bocca il sapore amaro della paura: temeva che di li a poco avrebbe rivisto il vino italiano che aveva ingurgitato zampillargli da due o tre fori nella pancia.

- Dai, muoviti stronzo!

- Ok, Ok, come vuoi tu...

Rispose cercando di ostentare una calma che non aveva più.

Prima di congedarlo, suo cugino lo aveva chiamato vicino a sé, aveva aperto il cassetto della scrivania e gli aveva detto:

- Sai che Amsterdam non è come il tuo paesello; qui è pieno di spacciatori, ladri ed ogni sorta di figli di puttana. Se proprio non vuoi dormire qui, fammi un favore personale: prendi questa, me la ridarai domani.

Ed aveva posato sul tavolo Walther PPK con un caricatore pieno.

Leo era rimasto interdetto e perplesso:

- Un’arma da fuoco?! ma cosa diavolo vuoi che me ne faccia di una pistola?

- Ovvio, ci giri lo zucchero nel cappuccino, no?

Aveva risposto sarcastico Niels (questa in realtà era una sua prerogativa che aveva sempre mandato Leo su tutte le furie).

- No no, senti Niels… ti ringrazio ma non se ne parla nemmeno. E poi non saprei neppure come usarla, va a finire che mi faccio male da solo. Buonanotte Niels: grazie della cena e riguardati.

E così dicendo si voltò ed aprì la porta di ingresso.

Leo slacciò lentamente il cinturino e consegnò lo Swatch al suo aggressore.

-Forza, voglio tutto quello che hai in tasca, svelto!

-Ho detto Ok, alla fine è una tua scelta…

Niels lo trattenne per un braccio e fissandolo negli occhi gli disse a voce bassa, scandendo le parole lentamente

- Senti Cuor di Leone, te lo chiedo per favore, fammi dormire tranquillo ok? Questo è un quartieraccio: vai dritto dritto nel tuo cesso di hotel e dimentica che ce l’hai addosso. Ma se sei in pericolo lascia che lei ti protegga.

E gli cacciò la pistola in fondo alla tasca del giaccone.

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